CALCIO FEMMINILE
DAL SALENTO
Scorranese di nascita, a suon di gol è stata protagonista dell’Alaska Lecce negli anni Ottanta. Anna Maria Mega, classe 1962, oggi vive a Bologna e in un’intervista a Distinti Sud Est su Radio Orizzonti Activity ha raccontato il suo percorso:
“Ho iniziato a dare i primi calci al pallone in strada con gli amici vicini di casa, con mio fratello che giocava a calcio per cui ho imitato molto anche lui. In quel periodo non era così semplice, ma ho avuto la fortuna di avere una famiglia molto tranquilla che non mi ha mai creato nessun problema. Ricordo ancora un signore, Luciano Maraschio, che un giorno mi disse che voleva farmi fare un provino in questa squadra dell’Alaska Lecce. Io non ne ero neanche a conoscenza perché ero convinta che il calcio femminile non esistesse per cui giocavo vicino a casa e basta. Il giorno del provino la squadra non si allenava e allora il presidente mi disse di fare il provino con una calciatrice messicana, si chiamava Esther Mora. Mi diedero le scarpe e l’abbigliamento e incominciai a palleggiare. A un certo punto mi sono vista tutti i dipendenti dell’Alaska intorno. Il presidente dopo mi raccontò di aver detto “Guardate questo spettacolo e venite a vedere questa ragazza che è brava”. Dopo il provino il presidente mi diede tutta la borsa con l’abbigliamento e tornai a casa con grande soddisfazione raccontando tutto a mia madre. Fu un’esperienza bella anche perché il campo era in erba, l’Alaska era molto avanti. Allora la squadra faceva la serie B. Al provino c’era anche questa mia compagna di squadra, Lucia Monosi, e fummo convocate in prima squadra. La squadra era seguita da tutto il paese, eravamo un po’ dei personaggi.”
Dopo l’Alaska, Anna Maria ha indossato le maglie di altre squadre in giro per l’Italia (Juve Siderno, Modena, Sassari e Giada Zambelli, Bologna, Verona) e ha totalizzato anche più di cinquanta presenze in nazionale tra il 1983 e il 1991.
“La convocazione in nazionale è stata la gioia più bella. A me piaceva giocare a calcio, a prescindere dalla categoria. Le compagne di squadra mi dicevano “Sei brava, sei da nazionale” e io dentro di me pensavo che fossero esagerate. Indossare quella maglia è un prestigio e un onore. La mia fortuna è stata quella di giocare sempre a livello professionale anche se eravamo dilettanti. Sono arrivata lì grazie anche al lavoro delle compagne che mi hanno dato questa possibilità di arrivare più in alto possibile. “
Anna Maria è stata prima calciatrice-allenatrice, poi anche allenatrice una volta appesi gli scarpini al chiodo guidando squadre come Milan e Lazio.
“Avevo fatto il corso a Coverciano per il patentino di seconda categoria perché allora c’era questa possibilità. Quando ho fatto il corso a Coverciano ero l’unica donna su 44/45 persone. Mi piaceva molto Sacchi in quel periodo. Giocavo molto a zona col 4-4-2, poi ovviamente a volte dipende anche dalle caratteristiche delle calciatrici a disposizione. Mi piace la tattica. Tutt’ora anche quando guardo le partite le commento tra me e me e vedo che ci sono degli errori anche a certi livelli professionali, di gente che si allena sei, sette volte in settimana, ben pagata. Ho allenato ragazze che andavano a lavorare e dopo venivano ad allenarsi, facevano dei sacrifici. Oggi il calcio femminile è professionistico. Questo significa che hai a disposizione la squadra tutto il giorno. Mi è sempre piaciuto allenare, poi purtroppo per motivi familiari ho lasciato, ma avrei continuato volentieri. A livello tattico sotto certi aspetti mi sento un po’ Conte, volevo il massimo, massima determinazione, massima grinta. A Verona giocavo e allenavo insieme, a volte scherzavo dicendo “Oggi l’allenatrice mi ha messo in panchina” e quindi davo spazio alle ragazze. Al Verona Gunter avevo anche lo psicologo, è stato un fattore importante in una squadra che era obbligata a vincere.”
Anna Maria nota le differenze col calcio femminile oggi.
Prima vedevi una squadra di calcio femminile ripresa con una telecamera. Tutto sembrava rallentato. È completamente diverso vedere una partita ripresa con cinque, sei, sette telecamere. Adesso le ragazze si allenano di più, iniziano a prendere più coscienza. Le bambine giocano tranquillamente dappertutto invece prima quando giocavi ti nascondevi per non farti vedere perché eri una femminuccia. Io poi ho anche una nipotina che gioca a calcio e ne sono contentissima. Le ho detto: “Mi raccomando, la cosa più bella è sempre la passione. Se hai passione va dappertutto. Se cominci a pensare già agli obiettivi, invece, ai soldi…” Io pensavo solo a giocare. Quando giocavo dicevo “Son fortunata che mi pagano”. Io avrei giocato anche senza niente. Ho detto a mia nipote “pensa solo a giocare, l’importante è la passione”. Spero che anche mia nipote Noemi possa prendere questa strada del calcio che ho preso io negli anni passati.