“Fine di un matrimonio”, pubblicato da Marsilio Editori e firmato dalla penna acutissima di Mavie Da Ponte alla sua prima opera: 400 pagine che sembrano però 40 da quanto scorrono velocemente attraverso la storia della protagonista Berta. Il titolo già suggerisce il cardine attorno a cui si sviluppa l’intera narrazione e in effetti è proprio così che inizia tutto: dalla fine. Nella routine di una coppia di vecchia data si instaura una crepa divisiva che non farà altro che allargarsi riga dopo riga: gli addii, anche quando sembrano brutali, non sono mai netti e proprio come le ferite più profonde, i margini fanno fatica a riavvicinarsi.
Non è certamente un caso il fatto che l’autrice abbia deciso di fare un montaggio tra due momenti catastrofici per rendere meglio l’impatto traumatico di un legame che esplode: Berta apprende la notizia del tradimento e dell’abbandono di suo marito Libero, proprio il giorno in cui Notre Dame va in fiamme in diretta tv. L’incendio capace di distruggere un monumento che sembrava dovesse stagliarsi indistruttibile da secoli e per altrettanto tempo ancora, è lo stesso che divora la relazione tra lei e Libero.
Lei gallerista d’arte, lui ginecologo, nessun figlio: Berta ha rinunciato all’idea di averne, per una sorta di disinteresse reciproco, un altro di quegli argomenti taciuti tra di loro che si era sedimentato insieme ad altre differenze che hanno finito per creare una frattura incurabile. La loro stessa storia è stata studiata come uno stereotipo e coerentemente si conclude con un luogo comune: lui che la sostituisce con una donna più giovane.
Dal momento in cui Libero esce dalla porta di casa, Berta inizia un percorso che ha l’aria di essere più un gioco per bambini: un-due-tre stella! Ed ecco che lei si paralizza dopo aver fatto pochi passi in avanti, mentre tutti intorno a lei procedono a tentativi. Ed ecco che appaiono anche i personaggi secondari che incorniciano le evoluzioni di Berta: Carla, l’amica con un trauma da elaborare, la giovane Mila, assistente che tiene in piedi una galleria aperta ma claudicante, Sara l’estetista cinese che diventa uno spazio di conforto insolito e poi gli uomini.
Sì, perché Berta indubbiamente è una donna che è stata appena lasciata dal marito, che è stata tradita e che quindi non ha le energie neppure per comprendere cosa le stia accadendo, ma come meccanismo di difesa decide comunque di seguire il luogo comune del “chiodo schiaccia chiodo”. Entrano in scena il toyboy Lorenzo, un amante passato Giulio ed un pacato Pietro tra le sue lenzuola: la vita sessuale di Berta è come un motore diesel, che ci mette un po’ a partire ma poi procede spedito.
In automatico il suo corpo ha reagito prima del cervello di Berta, che non appena ha assistito alla chiusura del suo matrimonio ha ripreso a funzionare, a mostrarsi fertile. Dalla presunta menopausa in cui pensava di essere arrivata, torna il ciclo nella sua quotidianità come simbolo potente di rinascita.
Sembra dire: ancora non sei morta fisiologicamente. Anzi, tutto ha ripreso a funzionare come se Libero andandosene avesse spostato un macigno che per tutto quel tempo aveva ostruito il passaggio dell’acqua. E intanto che Berta affronta questa metamorfosi inversa, che la vede ringiovanire attraverso il suo stesso corpo, l’autrice approfondisce un altro tema fondamentale di “Fine di un matrimonio”: la vita di quartiere, la divisione in classi sociali che tutt’ora pervade l’immaginario di Berta.
Nata in una città che potrebbe essere tranquillamente Bari – dove vive la scrittrice, che è molto legata alla Puglia, presente nel sottotesto – Berta ha vissuto in una zona popolare, dalla quale disperatamente ha cercato di emanciparsi cancellando i tratti che ha ereditato dai suoi genitori, troncando i legami con le persone del posto, eliminando qualsiasi cadenza o inflessione potesse essere troppo irruenta.
Forse proprio per questo ipercorrettismo, Berta non riesce quasi a provare emozioni di fronte ai fatti oggettivamente tragici che la stanno investendo uno dopo l’altro: i suoi flirt che la deludono, la galleria in crisi, Lorenzo che le toglie la casa, la sua amica che latita per via di una gravidanza inattesa, un incidente che la lascia invalida, e infine la morte di sua madre – simbolo per eccellenza di tutto il suo passato che si è impegnata per seppellire dentro di sé – sembrano tutti scivolare addosso una superfice liscia e fredda.
Una riflessione che Da Ponte invita sottilmente a fare: il matrimonio, ancora nella società odierna, è un sistema che imbriglia le donne per illuderle di emanciparsi. Per Berta è stato esattamente questo: essere scelta da un uomo di un’altra classe sociale, che l’avrebbe portata fuori dalla realtà rozza di quartiere, era la sua chance per diventare altro, staccarsi, essere una donna in grado di invertire il proprio destino che la voleva risucchiata dallo stesso terreno di povertà e ignoranza.
Invece no: sposando Libero, medico, ricco, la prospettiva di un riscatto sociale è diventato così promettente da coincidere con un’idea di amore che probabilmente Berta non ha mai conosciuto realmente.
Per questo nel momento in cui si è concluso anche questo contratto, accordo tra le due parti, i suoi sentimenti non sono così chiari come sarebbero quelli di chi ha fatto una scelta guidata dal trasporto emotivo. Libero era un biglietto aereo, un treno che l’ha trasportata lontana per parecchi anni e dal quale semplicemente è stata costretta a scendere in corsa.
Trovandosi disorientata e incapace di analizzare sé stessa.
Con queste premesse l’unica azione da fare è ripetere lo stesso errore: trovare qualcun altro su cui appoggiarsi senza provare chissà quale trasporto. Così si arriva alle ultime pagine di Fine di un matrimonio con una naturalezza disarmante: con Berta che lascia definitivamente la casa che aveva condiviso con Libero, ma aiutata, accompagnata, da Pietro e si abbandona ad un’ultima affermazione lapidaria, che ricorda quasi la Lucia manzoniana quando guarda già nostalgica il suo paesino, nell’addio ai monti così celebre ormai in letteratura.
Alla domanda che le viene fatta: “Hai preso tutto?”.
Lei non riesce a trovare una risposta perché “In quei bagagli non c’era niente”. Perché è quel vuoto che ha pazientemente costruito negli anni attorno a lei e dentro di lei, in un ciclo infinito che ha definito matrimonio e che ha più il sapore di una pizza surgelata.
“Fine di un Matrimonio” è disponibile sul sito della casa editrice, qui, a euro 19.