L’antieroe più irriverente e dissacrante di tutto il Marvel Cinematic Universe è tornato e non è solo. Il mercenario, interpretato in modo ormai naturale ed esclusivo da Ryan Reynolds, è diventato simbolo di un nuovo modo di pensare la vita, con leggerezza, ironia e tenacia. Le avventure di Deadpool sono follia pura, quel tipo di “nosense” di cui abbiamo bisogno in quest’epoca fin troppo seria. Il primo film, diretto da Tim Miller, ha fatto conoscere Wade Wilson al pubblico, offrendo un’avvincente storia romantica con un villain sadico e violento. Il sequel ha rinnovato l’idea di base del progetto, con nuovo regista, nuovi personaggi e un nuovo stile.
Diretto da David Leitch e con la presenza di Josh Brolin nel cast, questa volta il franchise ha puntato sul tema dell’amicizia e sui camei, tra cui quello inaspettato con Brad Pitt (durato pochissimi istanti). Nonostante ciò, questa nuova impresa non ha saputo mantenere lo standard della pellicola originale, destinando “Deadpool 2” (2018) al dimenticatoio.
Il terzo capitolo, uscito il 24 luglio, ha messo in chiaro la direzione che la saga aveva (forse) sempre voluto prendere, quella di abbandonare finalmente la pretesa di voler fare cinema e di trasformarsi in qualcosa di cui gli spettatori hanno davvero necessità, ovvero la possibilità di togliersi la maschera di moralità e riscoprire un’etica più realistica e sincera, meno forzata e fuori dagli schemi. In una società in cui tutti offendono e tutti si offendono, il mercenario chiacchierone è l’essere più vero che potevamo incontrare sul grande schermo, quel tipo di verità che ci permettere di essere consapevoli della realtà che ci circonda e che in fondo non è poi tanto male se sai come prenderla.
Il ritorno di Deadpool si colloca temporalmente sei anni dopo i fatti del secondo film. Dopo aver fallito il provino per entrare negli Avengers, Wade appende al chiodo il costume da supereroe e si dedica ad una vita tranquilla e civile. Tutto cambia il giorno in cui un alto funzionario della Time Variance Authority, organizzazione che si occupa di monitorare le varie linee temporali, si presenta offrendogli una missione degna di lui a condizione però di vedere la propria dimensione e tutti coloro che ama essere distrutti.
Wade rifiuta categoricamente e decide così di riprendere le vesti di Deadpool per salvare il suo universo. Per portare a termine il suo compito, dovrà convincere Wolverine (Hugh Jackman) a unirsi a lui e a dargli il suo aiuto.
“Massimo sforzo!” è il tormentone che risuona nei cinema di mezzo mondo, Deadpool lo impone a sé stesso pochi secondi prima di affrontare le situazioni più irrisolvibili. Ma cosa vuole dirci?
Deadpool & Wolverine sono l’accoppiata assurda che serviva per uscire dal noioso concetto di normalità, una rivalità tra due modi opposti di prendere la vita, uno guidato da sentimenti di risolutezza, energia e di rifiuto nei confronti dello scorrere passivo degli eventi, l’altro tormentato, rigido e logorato dal rimpianto, dalla rabbia e dalla rassegnazione, È doveroso, quindi, porsi una domanda e fare una precisazione: questo paladino dal volto sfigurato è un esempio negativo di educazione? Linguaggio volgare, infantile ed insolente sono le peculiarità che contraddistinguono il personaggio, ma la risposta è no.
Wade Wilson è un modello contemporaneo, caratterizzato da valori ancora più moderni, quali inclusività, determinazione, amicizia, amore, accettazione del proprio “io” e una sacrosanta onestà nei confronti dell’essere umano. Infatti, alla base della figura trash e bambinesca di questo ennesimo tizio in calzamaglia c’è una cruda realtà priva di insulso buonismo, che lo differenzia profondamente dall’idea del supereroe convenzionale. Wilson non vuole essere l’eroe di nessuno se non per sé stesso e per chi gli sta a cuore, per tale motivo egli altro non è che un super uomo-qualunque.
E poi c’è Logan, ma non quello che ricordiamo. Il lupo degli X-Men, morto da eroe nel suo ultimo film, mette in mostra come sarebbero potute andare le cose se gli eroi avessero dato più spazio al loro lato fallibile. Wolverine, infatti, è stato scovato da Deadpool in una remota linea temporale in cui le cose non sono andate nel verso giusto, portando il mutante alla disperazione e all’alcolismo, senza nessuna speranza. Da qui inizia lo scontro di visioni con il pazzo e passionale Wade, che gli insegnerà il superpotere più importante, quello della resilienza e del perdono di sé stessi.
Questa storia ci insegna il valore di scegliere con attenzione che approccio vogliamo avere nei confronti della nostra esistenza e ci ricorda la rilevanza di inseguire il benessere e la felicità. Dunque, si tratta di un racconto di redenzione per un Wolverine ridotto all’ombra di ciò che era e che ci svela il meccanismo più recondito dell’animo umano per poter rispondere ad un’ultima domanda, la più importante: cosa fare una volta toccato il fondo?