LECCE
In principio del Novecento viveva a Napoli tal Anton Menotti Buja, leccese, il quale frequentava assiduamente il caffè all’inizio di Spaccanapoli e lì scriveva testi di canzoni e libretti d’opera per gli svogliati studenti del conservatorio di Sam Pietro a Majella. Un prolifico compositore di versi, di opere rappresentate anche all’estero, scrisse, fra gli altri, per il maestro Scarano, per Emilia Gubitosi, Mario Cosentino, Daniele Napoletano, Giovanni Barbieri, Leopoldo Tarantini e per Giovanni Battista Pinna.
“Villa Clermont” fu rappresentata al teatro San Carlo, altre opere al “Mercadante”. Menotti Buja fu poi assoldato dalla nascente industria cinematografica napoletana e divenne il primo sceneggiatore professionista a Napoli, per la Parthenope Film. Il titolo di tre atti in versi, “Il rivale di Gesù”, contribuisce a rendere l’idea di un personaggio stravagante, che prima dell’impegno nel cinema viveva in condizioni disagiate, in compagnia di una ventina di gatti. Anton Menotti è antenato del giornalista leccese Francesco Buja. Un filo rosso molto evidentemente li lega se il romanzo d’esordio del cronista si intitola “Le sottane di Dio”.
Opera che sarà presentata l’8 luglio nel teatrino dell’ex Convitto Palmieri, a Lecce, alle 19.30 edita da Il Raggio Verde. Il titolo del romanzo è irriverente. Buon sangue non mente.
«Riconosciamo un dannunziano» ha scritto in prefazione Raffaele Polo, giornalista ed editore che alla presentazione del romanzo dialogherà con l’autore. Personaggi decadentisti, alcuni strampalati, altri frustrati, che si delineano lentamente, l’inquietudine di un’anima, la ricerca di un senso della vita attraverso sottane e l’arte.
Chissà se il Buja, quello contemporaneo, è rispecchiato nei personaggi, nei tormenti che egli descrive. Chissà se davvero ha conosciuto le donne che narra, descritte magari sotto loro falso nome. Certo è che il romanzo del giornalista leccese fa sentire il sapore di anime, di luoghi in cui l’autore ha vissuto, C’è D’Annunzio, sì, ma ci sono anche le indolenze moraviane, c’è il conflitto pirandelliano tra l’“Io” e il “me”, c’è un senso cristiano. Come quello che, a dispetto di eccentricità e provocazioni, si rinviene, ma senza il tumulto descritto da Francesco, nell’Ave Maria che Anton Menotti firmò per la eccellente pianista Emilia Gubitosi. Sì, c’è un’anima cristiana fra le sottane cantate in questo romanzo.